LA STAFFETTA - Recensione
Di Vanni Spinelli
“La Staffetta” di Germano Bonaveri:
quando la resistenza passeggia con l’eutanasia
Sono diversi i motivi per i quali mi metto a scrivere queste righe: comunicare, nel mio piccolo, l’esistenza di un uomo che vive nella periferia di Bologna. Quest’uomo, circondato da gatti, si chiama Germano Bonaveri, ed io lo considero uno dei più grandi artisti/artigiani italiani del nostro tempo, nonché uno dei più abili cantautori presenti nella scena… quale scena? Non ci sono scene indie, underground e simili per Bonaveri: che non sia propriamente commerciale è ben evidente, ma a me piace pensare che questo importante produttore, creatore (e conferisco a questo termine tutto il suo valore etimologico dal verbo greco “poieo”, vale a dire qualcuno che dalla materia grezza riesce a fare, produrre qualcosa di unico, personale ma allo stesso tempo universalmente prezioso) di bellezza vaghi immobile in un ambiente che è quello di chi vuole e sa trovarlo, svincolandosi dagli abusati canali di fruizione musicale attraverso i quali viene iniettata la nostra quotidiana dose di merda che, gradevole o meno che sia il sapore, ha il difetto oggettivo di precludere all’artista di emergere e al pubblico di scoprire qualcosa perlomeno proiettato alla stimolazione del pensiero. Ho scoperto Bonaveri tramite un procedimento analogo, e di questo faccio un mio piccolo vanto.