Recensione di FAOL

A cura di Giuseppe Provenzano

Cartina tornasole dei tempi famelici e deliranti che attraversiamo “Faol” il nuovo album di Germano Bonaveri arriva a quasi un anno di distanza da “Il bardo e il Re dei gatti” e ci accoglie con le trame elettroniche di “Blu” (“Oltre ogni limite, non è pazzia/ Devo solo immaginarmi libero/ visualizzare l’idea/ e vedrai: io volerò”), in cui una drum-machine dritta fa da sostegno ritmico ad un reticolato di pianoforte e synth dal sapore battiatiano, che accompagna un cantato spruzzato di vocoder. Con “Atto secondo, scena ottava” (“Cantare e sognare senza paura/ aver l’occhio e la voce sicura/ Mettere il feltro, se mi va, di traverso/ e battermi, o fare un verso”) si torna su sonorità più classiche, con uno splendido incastro tra le tessiture dell’arpa ed i ricami della sezione archi, mentre una linea di basso sinuosa anima, dietro le quinte, la dinamica del pezzo, in quella che è una purissima rivendicazione di resistenza artistica.

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