La partita di scacchi.

Arrocco di re... E mi sottraggo ad un attacco che, certo, mi avrebbe portato con l'alfiere, scardinando l'esile pattuglia di pedoni che avevo mandato in avanscoperta. Carne da macello, che non avrei potuto promuovere in nessun caso, poiche' le ultime caselle del campo erano state oppurtunamente minate da cavalli e torri imponenti pronte a dar battaglia. Il mio avversario fissa con insistenza la regina bianca, la sua regina.

E' preoccupato, perche' sebbene coperta da un pedone, corre seri rischi determinati dal mio cavallo sinistro sostenuto da impavidi alfieri neri. Sta cercando di scalfirmi, sfruttando fino all'ultimo secondo la mezz'ora di tempo che il regolamento gli concede prima di smuovere quelle statiche figure. In effetti e' in vantaggio, sono assediato da una folla di pallidi soldati d'avorio ed i rifornimenti alla mia dispensa delle idee giungono sempre piu' esili, sia per qualita' che per quantita'. Gli occhi del mio re, che ora sta alla destra di una torre sgretolata, sono spalancati per il terrore: lo osservo mentre agitato scruta gli accadimenti li' intorno, nell'ordine sopito di strategie violente pronte ad esplodere all'improvviso, seminando morte. Ho arroccato proprio per lui, solo per lui, trascurando la strategia globale della mia partita e lasciando i sudditi suoi in pericolo, pronti a sacrificarsi per l'omino crociato. Adesso, come di consueto, ho davanti a me mezz'ora buona per riflettere, distrarmi... addirittura bere qualcosa mentre l'uomo assiso all'altro lato della scacchiera scegliera' cosa fare. Mi scuso, alzandomi un attimo. Lui fa' un cenno di sussiego col capo mentre mi avvicino all'ampia finestra che da' sul giardino, notando con avvilita nostalgia che l'autunno e' rientrato inesorabilmente nel nostro presente con le sue pioggie pesanti e verticali. Guardo le goccie scivolare zigzaganti sul vetro, intersecandosi. Il mio avversario e' sempre li', immobile, il capo tra le mani che accarezzano, stringono, esplorano la fronte corrugata come a dividere un groviglio di immagini per scegliere l'idea migliore, l'illuminazione. E' un uomo basso, grassoccio, elegante con i capelli ancora neri nonostante l'eta', resi lucidi da una brillantina antica accuratamente distribuita ed i baffi ordinati e discreti. Osservarlo, mentre prono sulla scacchiera medita, e' piacevole. Il suo respiro sottile e' intervallato a volte da un sospiro piu' profondo, quasi compiaciuto, mentre la sua gamba sinistra dondola regolare per il suo alzare e sollevare rapidamente il tallone di qualche millimetro ad ogni frazione di secondo, un gesto che , se ad un primo sguardo potrebbe dissimulare nervosismo, in realta' cela una calma determinazione a colpire, uccidere. Lo lascio li', immerso nel suo vagabondare tra circuiti cerebrali, ritornando con lo sguardo al salice che sovrasta tutto il giardino, con le sue chiome spioventi madide di pioggia. Slaccio il panciotto, dando anche una veloce occhiata all'orologio da tasca che mi accompagna ovunque: le cinque e un quarto. E' una conferma al cielo che ci sovrasta, piuttosto che una informazione passiva. Le nuvole sono totalmente immobili, pesantemente grigie e sudate, sembrano accampate lassu' da sempre. La terra farraginosa del giardino ora sembra una palude, mentre laggiu' oltre la ringhiera un passante intabarrato da un ampio manto nero scorre veloce, quasi planando sull'oceano stradale deserto. La calma piatta che respiro e' opprimente: sto pensando ai miei soldati, che ho abbandonato per cogliere l'attimo desolante di questa stagione aggrappato alla finestra insieme a goccie solitarie che tentano invano di non precipitare. Sono soli in quello sconfinato piastrellato di madreperla bianconera, abbandonati alla loro impotenza e staticita', li sento ad uno ad uno gridare, supplicarmi di portarli via, lontano... fare qualcosa. Purtroppo ho le mani legate, devo aspettare la mossa avversaria che non arriva, devo attendere paziente che l'universo intorno a loro progredisca di un attimo, evolva nella sua inarrestabile danza di morte. Giocare a scacchi mi ha sempre trasmesso una sensazione strana, uno strano senso di onnipotenza contrastata solo da una divinita' mia pari, mentre quell'umanita' d'avorio attende tapina gli accadimenti. La lotta tra il bene ed il male, combattuta da due titani che con ipocrita impassibilita' scelgono chi sacrificare, chi premiare, chi salvare ad ogni costo. Ovviamente mi sono sempre calato nel ruolo del benefattore, del bene. Ovviamente cosi' anche il mio avversario, rotolando verso il basso avvinghiati con la ferma intenzione di non arrendersi , disposti a sacrificare persino la regina all'altare dell'ambizione. La regina. Spietata mantide di ingenui pedoni che nulla hanno... ubbidienti soldatini che , passo dopo passo, fuggono nell'unica direzione che il fato a destinato loro: una rettilinea, inesorabile marcia verso il nemico, la morte. Di bassa statura, abbastanza goffi, lottano con le poche armi a disposizione in cerca di redenzione, nel sognante sforzo di diventare Regine, Alfieri dalla splendente armatura, Cavalli selvaggi e potenti o Torri maestose e serafiche. Alle volte qualcuno di loro si fregia di eroismo, uccidendo pezzi che lo sovrastano per forza e prestigio; altre volte sono complici subdoli di colpi di stato inaspettati, la nota dominante della loro vita e' pero' il sacrificio, la morte per la causa, la breve vita in prima linea. Quanti pedoni. Quanti ne ho sacrificati senza imbarazzo inseguendo il sogno mio, la cieca ansia di vittoria che prescinde da tutto e da tutti. Il Re, per ironia beffarda della sorte, non differisce da loro. Ha le loro stesse armi, la loro stessa insufficiente forza. Rispetto ai pedoni pero' puo' ritornare sui suoi passi, nascondersi all'evidenza. Non puo' sognare, questo il suo cruccio: non ha mete o ambizioni di promozione da inseguire, deve solo cercare di sopravvivere, il che non rappresenta una peculiarita' in quel loro crudele mondo. Il Re non puo' sognare ma solo temere mentre il pedone puo' ambire ma non cosi' in alto, puo' sognare solo a meta'. Tra loro, la folta schiera di sicari, leccapiedi e servi ipocriti del potere, che sgomitando fanno bella mostra di se' nel circo quadrangolare. Il sole si lascia intuire, al di la' della finestra. Non lo si e' visto questo pomeriggio, nascosto da nubi ottuse... lo si sente tramontare respirando l'aria settembrina che rinfresca, attraverso i giochi d'ombra totale che inscurisce nelle pozzanghere, lo ascolti nel silenzio di questa stanza, mentre indossa un cielo nero macchiato di lune lontane per abbandonarsi al lento riposare notturno. L'uomo alle mie spalle scardina una mano dalla fronte, afferrando silenzioso la regina: la soppesa, ci gioca un istante, poi la posa tre caselle piu' avanti, in diagonale destra. Il mio Re si gira a fissarmi, disperato, con gli occhi sgranati e la croce abbassata cerca lo sguardo dei sudditi: la torre volge il capo dall'altra parte, il pedone piu' vicino vorrebbe ritornare verso di lui, gli tende una mano, poi rassegnato abbandona il braccio lungo il corpo stanco. Un cavallo nitrisce preoccupato. Getto un'ultima sbirciata aldila' del vetro, riempiendomi di quel gocciolare insistente come per aggrapparmi all'evidenza di un reale meno violento di quel microcosmo guerresco che giace sul tavolino. Tocca a me. Adesso sono un dio sconfitto, sulle cui spalle grava il peso di quelle vite inconsistenti che ho fatto risuscitare mille volte con la leggerezza di un bambino. Osservo impotente la vena delle idee gocciolare, recisa, il sangue denso del fallimento. Accarezzo mentalmente il mio re, cerco di consolare i pedoni e domare i cavalli impazziti mentre una torre sgretolandosi precipita nel vuoto. Guardo il mio rivale: *Un'ottima mossa... direi che hai vinto, abbandono*. La resa incondizionata salva la vita agli eroici superstiti del mio esercito, che ripongo deluso nell'astuccio insieme ai caduti di oggi e di ieri. Questa notte parleranno tra loro, mentre un dio solitario e sconsiderato meditera' sulla migliore strategia da attuare per sconfiggere il male, la prossima volta. Chi sacrificare, chi lanciare per primo nella mischia dall'alto della sua comoda poltroncina vellutata in rosso, pedone piu' dei pedoni sulla scacchiera bianconera della vita.