Insonnia

L'alba arriva, e' una certezza notturna che accompagna le mie nevrotiche notti d'insonne mentre l'ansia orizzontale della necessita' mi costringe a controproducenti passi virtuali tra le pieghe del letto. Non ho mai tentato di contare le pecore perche' sono una persona attenta.

Non ho mai bevuto una camomilla perche' sono allergico ai pollini. Non ho mai preso tranquillanti perche' detesto prendere medicinali. Come sempre affronto dunque la notte con un mazzo di carte dove gli ori sono stati deliberatamente messi da parte: giochero' con la luna. Il buio e' totale, posso osservare solo quest'assenza cromatica che sembra ancora piu' assoluta laddove so esserci le mie mani, il mio busto, le gambe... l'incapacita' dell'iride a penetrare l'oscurita' affina il mio udito, che ora ascolta suoni che di giorno paiono soffocati. Capisco che il nostro livello percettivo possiede la logica dei vasi comunicanti, tende a mantenere un livello stazionario sopperendo con gli altri sensi quello obnubilato da una contingenza. Se respiro lentamente, posso persino ascoltare un cane lontanissimo latrare alla luna, posso sentire il fruscio delle costellazioni che scivolano intorno, il fragore di un sogno che si infrange, il mio cuore che pulsa. E' di notte che il mio spirito si innalza, ma non saprei darne spiegazione: so che talvolta posso persino scegliere cosa sognare, deciderne i colori, costruire visioni oniriche proiettando il vero io aldila' delle consuetudini, delle logiche che nella quiete sono piu' rarefatte dell'ossigeno nel cosmo. Mi piace questo pianeta, mi piace sapere che in questo preciso istante stiamo galleggiando tutti insieme in questa strada di latte che conduce verso l'inconoscibile, probabilmente dentro noi stessi. Questo anno duemila e' un nastro ferito, spezzato da un pianeta sparato verso un altrove senza apparente ragione: la magia del punto oscuro si e' rotta. Certe sere, l'anno passato, si parlava con gli amici comodamente in apnea su un divano di come sarebbe stato, di quello che avremmo fatto, fantasticato obiettivi e mentito assurde promesse... ora che il duemila e' un baratro scavalcato con la stessa facilita' con cui si salta un fosso, ora che sta agonizzando in un ottobre uguale ad altri, e' difficile ipotizzare persino un duemilauno. Quando di dodici pagine appese al muro restera' semplicemente un cartoncino dimenticato nel cestino, dovremo trovare altre scuse. Mi spaventa questa necessita', sono atterrito al pensiero di cosa sarebbe di me un giorno che un saggio dovesse dirmi: "ecco, ora non devi fare nulla". E' come il suonare a morto di una campana di gesso; eppure, maledizione, e' quello che sto facendo stanotte: nulla se non esistere, a braccetto con questa mia insonnia cavalcando l'onda lunga della follia. Sto addirittura bene: la serata e' fresca, ogni tanto un filo di vento viene a sfiorare questo mio corpo nudo restituendomi la gioia dell'essere sensibile alle stagioni, di sapere crescere ed invecchiare, di sentire le cose. E' bellissimo questo non fare. Voglio divertirmi a planare sulle montagne, verso uno sciame d'alba che tinge d'un caldo rosa ogni cosa, voglio stare fermo quattrocento anni per vedere a cosa ambisce la quercia, scalando il cielo... voglio tufframi nell'oceano piu' profondo per scoprire da dove sono venuto, voglio versare una lacrima sulla tomba di mio padre, per regalargli un fiore anche quando non ci saro'. Voglio tuffarmi sulle nuvole, tornare a terra scivolando sull'arcobaleno, scavare per trovare un tesoro, un sorriso dall'altra parte del mondo. "Non sto facendo nulla"... certamente non sto lavorando, certamente non sto innalzando il mio stendardo a celebrare un successo che non ho mai voluto, certamente non innalzo altari sui formicai soffocando esistenze, certamente non sto facendo nulla di inutile. Un tuono, lontano: da qualche parte le cateratte del cielo hanno ceduto per abbracciare la terra, posso semplicemente scegliendolo guardare le stimmate delle gocce nel lago dove le rane occhieggiano ben celate nel canneto. Vorrei avere i capelli color del fulmine, gli occhi acuti di un'aquila, le braccia vorrei fossero di vento. Vorrei abbracciare quel bambino che ero e portarlo con me a guardare la terra seduto sull'incavo di una luna calante. " Visto da qui, sembra una monetina blu". Visto da qui, semplicemente non esistiamo. Vorrei portarcelo in una di quelle notti in cui disperatamente cercava bagliori di luce provenire dalla stanza dei genitori, troppo stanchi per capirne la solitudine, vorrei portarcelo quando sperava nell'amore, quando serenamente scrollava le spalle pensando "verrannogiornibelli". Accendo una sigaretta, poso il portacenere sul petto procurandomi una repentina e fastidiosa sensazione di freddezza ed aspiro. Una luce rossastra pulsante rende giustizia al mio esserci, smentisce ogni illusione: sono proprio io, esattamente qui come ogni sera ad aspettare l'ora del dormire. Stanotte non voglio sognare, ho deciso di precipitare in un baratro di dimenticanza per assaporare la morte, e sorridere domattina al giorno che viene.