Dell'indifferenza

Non importa. A nessuno importa. Camminiamo con passo sicuro su lucidi corridoi lastricati di marmi bianconeri a larga lastra quadrata, scacchiere strette puntate sull'infinito. La certezza aberrante del nostro passo e' un dono dell'indifferenza, di questa nostra inopportuna capacita' di vivere costantemente al margine.

Al margine della vita, appena sfiorata ed intuita nel contatto dorsoventrale metropolitano cui siamo costretti ogni mattina andando al lavoro, che riesce solamente ad infastidirci mentre sospettosi verifichiamo con il palmo della mano che si', meno male...il portafogli e' ancora al sicuro nella nostra tasca posteriore destra. Quella vita dolente e tapina che potremmo leggere negli occhi di uno dei tanti bambini che chiedono quattro lire all'incrocio del centro, se solo avessimo la voglia (o forse il coraggio ) di provare a regalargli quantomeno uno sguardo. La stessa esistenza solitaria e mortificante del pensionato del piano di sotto, dimenticato a se' stesso mentre con passo incerto scende le scale (un gradino alla volta, intercalando lunghe pause interrogative a mezzo di quei baratri pianerottoleschi)che lo condurranno verso un mercato dove anche la miseria e' un lusso, sempre scendendo anche quando percorre quelle scale al contrario per rinchiudersi ancora in quella cella disadorna d'allegria che chiamiamo *casa sua*. L'indifferenza alla fortuna, sempre troppo poca rispetto ai mille grandi problemi del nostro esistenziale quesito: il cellulare rotto, la macchia di grasso ragu' sul vestito piu' bello, il brufolo osceno che ci e' cresciuto proprio sul cuore e che vomita una purulenza giallastra ogni volta che pensiamo a cosa faremo domani. Echi di umanita' alle volte rimbombano altisonanti alle nostre orecchie quando salutiamo qualche altra anima vagolante sui marciapiedi del centro, ognuna ben conscia del proprio tragitto calcolato per non sottrarre minuti alla pubblica inutilita'. I sosia con K costante uguale a zero, variegati e multiformi ma, ahime', resi stereotipo di progresso dal moltiplicatore comune che come falce spiana le gialle spighe talmente infragilite dal secco afoso da farle cadere al suolo le une sulle altre. L'indolente giornata prosegue per tutti noi, perennemente nauseati dal lavoro quotidiano con l'idea precisa di cambiarlo al piu' presto, certi cosi' di poterlo quantomeno rimpiangere. Prosegue su se' stessa, uguale per tutti ma diversa per ciascuno di noi, calcolata e scandita da gesti consueti ed irrinunciabili. Chi osserva disperato un orologio a muro messo li' da un inquisitore ben determinato a farti capire che passa, lento ma passa... chi deglutisce espressi con cadenza oraria di fronte a falsi frigoriferi a gettone, altri semplicemente non pensando a nulla che non rimandi ogni logica al fine settimana. Indifferenza... che ti leggo negli occhi quando racconto un sogno, che mi leggi negli occhi quando ti chiedo di interpretarlo, e tu che rispondi finalmente protagonista a te stesso nell'incerto funambolico gioco dei secondo me. Io mi racconto, e tu fingi. Indifferenza davanti alle sciagure, innumerevoli vittime di un telegiornale che racconta cinico d'altre vittime con dovizia di particolari in una orrenda sagra di ipocrisia e falsa partecipazione. Indifferenza al dolore, quello vero, quello di tutte le madri di questo mondo, quello dei loro figli che si spartiscono il giudizio nel pregiudizio. Bello, brutto... questo va, questo no... Qualcuno ebbe il coraggio di enunciare che tutto e' relativo, e subito un Nobel a camuffare la verita' umana con il trucco di quella scientifica. Mi trovi bello? Guardami dentro, impara ad ascoltarmi, prima. Imparami. Mi trovi brutto? Grazie, non ho di che temere. Scrolliamo le spalle, quasi sempre per non svelare le parole e non giocare l'ultima mano, avidi conservatori che releghiamo a quattro fiches il compito di cambiarci la vita. Ma che dico...cambiarci? Sia mai. Il futurofossile e' gia' qui, abitato da tecnoindividui anonimi che dietro al cerone di quattro microchip sviluppano, ingegnerizzano, sentenziano, ipotizzano... *volani in movimento*. Bastano pochi volts per avere una personalita' nuova, basta il coraggio facile del non-essere e puoi. L'era glaciale del non essere. Distese aride senza uno stelo d'erba per non lasciare all'occhio il senso del vento, prive di qualsiasi albero od ostacolo per non dare testimonianza di quattro proiettori a sostituire un sole... quando l'uomo passa, e rimane stranito, la voce tuona:*hai quattro ombre, ora...che te ne fai di un sole?* Io ho quattro ombre, un cellulare abbastanza piccolo da poterlo nascondere quando sto solo con me stesso ma abbastanza psichedelico da abbagliare la folla, certezza d'esserci; ho un auto, mille cavalli che non ho mai visto e non ho mai accarezzato, un meraviglioso computer che si lascia docilmente addomesticare dalle mie inquietudini... Ho tante cose, davvero. Ne ricordo solo tre o quattro, pero', le piu' inutili. Indifferenza. Coccodrilli sul cuore costantemente a fauci spalancate si stagliano su una lacoste d'indefinito colore, che qualcuno osa definire per sentito dire *verde prato*, mentre un graffito d'albero fa' bella mostra di se' sugli scarponi fintamente indistruttibili cuciti da un bambino che aspetta un pugno di riso per se' ed i suoi trentotto fratellini. Ho visto fanciulli con i capelli blu, donne anziane tinte allo stesso modo inorridire dalla vergogna, madri disperate dalle chiacchiere di quelle malelingue. Catene indissolubili di pregiudizio serrano i polsi dell'aparenza mentre mi definisco ordinario per stupire il mio allucinostranito interlocutore. Sei punk? no, Hi-pop, mentre mi rendo conto di non capire lo slang che sembra quasi l'eco spenta di una supernova e tu mi guardi e deridi la mia ingenuita'. Ti stupiro', ma non invidio. Ho una fede punk, attenta a dissacrare per sviscerare, un'ideale new-age che ancora da voi non e' arrivato a sconquassare la moda, un ottimismo dark ed un pessimismo hippy, nudo sono grunge ma se mi vesto un attimino mi troverai provocatoriamente normale. E ti vedo, li', spiazzato dal pregiudizio: chi e' costui, cosi' naturalmente normale? cioe', non fa' apposta, cazzo. Si', perche' intercalare *cazzo* a qualsiasi frase sfrecci dal cervello alla bocca, rigorosamente senza soste per non scoprirsi magari intenti a pensare, rende il concetto. Sono dei vostri, *cazzo*. Che importa cosa penso... anzi, meno penso meglio e', CASPITERINA. ...Ho detto caspiterina? ridete pure. Indifferenza. Passeranno gli anni, e milioni di adolescenti come te si ritroveranno soli in casa ad accarezzare polverosi anfibi dalle stringhe sfilacciate, o jeans falsamente feriti da ferite casuali che un abile colpo di cutter ha disegnato su un gluteo, centro nevralgico d'una sessualita' temuta. Passeranno le dita nodose tra i radi capelli pettinati con cura e brillantina: attenti pero', che potreste ungere il colletto alla coreana della camicia, o, peggio, quello della giacca prince of wales.