Otto rintocchi di campana, precisi, regolari. Immagino un sordo batacchio che urta l'ottone vibrante e mi piace credere che sia cosi', voglio pensare che nessuna tecnologia abbia avuto il visto per invadere anche questa antica consuetudine. Ripasso mentalmente il suono: nessuna imperfezione, purtroppo. Non senti il colpo pari di rimando variare e smorzare l'eco del precedente per risonanza, non senti l'urlo secco della corda tesa ed il fragore della goccia di sudore che precipita giu' dalla torre organica... solo una perfetta simbiosi d'onde precalcolate impersonali.
Nessun campanaro sparato al cielo aggrappato ad un'ancora conficcata sulle nuvole... chissa' dov'e' ora, lui.... Il campanaro e' addormentato, infastidito appena dal rumore ovattato che accarezza l'orecchio soffocato da profilattica cera o forse e' prono su una tastiera per programmare l'assonanza dell'Agnus Dei, od una laude punto mid che qualche organo a diciassette pollici visualizzera' su fondo celeste, richiamato provvidenzialmente da un doppio click sull'icona della Madonna col Bambino. Santo cielo. Immagino la voce di dio modulata per renderla convincente mentre ammonisce il fedele a non fornicare, e sorrido. Da piccolo mi confessavo. Una domenica si' ed una no, per avere una scorta maggiore di peccati e rafforzare cosi' il senso di colpa ed espiazione provando solo l'imbarazzo per l'anonimo mediatore curioso, che si affrettava a ricordarmi di non toccarmi. Rimanevo male quando mi dispensava una assoluzione annoiata che comprendeva anche la recita a memoria di un paio di preghiere mai imparate e mai pesate dalla mia mente disattenta. Sono tornato in chiesa oggi, dopo anni di latitanza: non e' piu' quella di me bambino che profumava di incenso umido forse davvero bruciato; l'odore mi fa' starnutire, segno che le particelle elementari di qualche ozonica miscela chimica arrivano a solleticare il mio allergonaso mai quieto. Le candele. Quelle fiammelle tremolanti che amavo guardare mentre il parroco arringava la folla rapita lasciandomi ipnotizzare dal torpore luminescente non ci sono piu', sostituite da stroboscopiche lampadine al neon montate su colonnette di plastica. Mi sento offeso quando, guardando bene bene, scopro che su quelle asticine pallide sono state scolpite anche piccole escrescenze a ricordare la cera fusa che scivola come vittima sacrificale a rinforzar l'appoggio. Le statue dei santi hanno gli occhi stravolti, alienati da quel reverbero temporizzato innescato dalla moneta del fedele che fa offerte alla slot machine dell'ipocrisia. Povero S.Francesco. Ti immagino praticamente orchitizzato da quelle multisale dedicate al culto mentre un devoto bestemmia in dialetto dando colpetti secchi alla gettoniera di un flipper andato in tilt, imprecando contro un Fiat Lux mai avvenuto proprio li', ai tuoi piedi. Mi sento terribilmente fuori luogo, seduto su queste panche donate da chissa' chi con la precisa convinzione dell'indulgenza. Una farfalla smarrita pencola annaspando nell'aria deumidificata e si staglia contro un arcobaleno vitreo dove un altro S.Francesco estasiato riceve le dolorose stimmate. Intrusa quanto me, condannata ad una esistenza piu' breve solo in termine di tempo, pronta a rendere le ali ad un cielo nitido che per fortuna da qui posso solo intuire. La grassa donna anziana, assisa quattro, cinque panche piu' avanti nella fila di destra, si volta a guardarmi. Non e' lo sguardo che mi aspettavo, giacche' non mi aspettavo notasse me. Mi fissa a lungo, sforzandosi: immagino le sue vertebre scricchiolare, inadeguate alla postura e costrette da un paleto' grigiofumo spesso e tempestato di piccolissime screziature bianche. E' tesa, sotto sforzo, il volto lievemente arrossito per una presumo scarsa ossigenazione dovuta alla contrattura del collo... le mani pero' non cessano di stringere il rosario, anzi da osservatore attento mi viene da ridere quando nonostante il disinteresse per il padrone di casa le vedo sgranare una nuova logora biglia. Le sgrana invero in modo ritmico, una ogni trenta secondi, ed anche ora che stremata ritorna con gli occhi al crocifisso volante dell'altare non altera la sua incessante regolarita'. Perche' mi guardava? Mi osservo, altrettanto curioso, prima esterioremente. Non sono pettinato, poiche' porto i capelli decisamente molto corti; non puo' avere notato l'orecchino sul lobo sinistro perche' opposto alla sua visuale e nascosto dalle mie opacita' organiche... Gli abiti? una felpa dalle maniche tagliate ed un paio di pantaloni da ginnastica, regolari e dignitosi. Allora forse ha percepito me. Oppure, talmente poco assorta nella sua fede da avere avvertito il batter d'ali della farfalla ed esserne disturbata o semplicemente premurosa di controllare se qualcuno, io o chissa' chi, fosse li' intorno a rendere certezza alla sua presenza in quel luogo. Gesu' intanto e' stremato, appeso a quei due travi incrociati, da tanta riverente quotidianita'. Lo vedo piangente anelare la morte... che tutto finisse, per dio. Il prete intanto occhieggia da un andito adombrato e si ritrae veloce. Non e' la prima stasera, e' l'ennesima replica ed in piu' la sala non e' gremita come in certe domeniche di novembre quando devi chiedere persino *permesso* per arrivare all'acquasantiera, seguito da incuriositi astanti che pesano la tua presenza con la forza di un occhio gia' molto allenato. Imbarazzato mi rendo conto che la mia fronte, corrugandosi, non mi rimanda la sensazione secca che lascia il contatto con l'acqua di alcuni minuti prima... tant'e', la signora mi scusera', erano anni che non passavo di qui e certe abitudini mica si portano sempre appresso! Mentre penso a questa situazione Gesu' mi fa' un cenno col capo, invitandomi sorridente e complice ad uscire... sorrido anche io, un po' dispiaciuto per la scomodita' della croce, mi alzo, intingo l'indice e lo sollevo, come un boccale di buona birra.