Con il fiero berretto caratteristica ordinaria simbolo di categoria, con la tavolozza impiastricciata di colori ad olio, un ampio ed arioso camice azzurrino, Ireneo dipingeva. Nel piccolo studiolo ampiamente illuminato da una vetrata grande quasi quanto l'unica parete esposta al sole del suo appartamento, Ireneo lasciava danzare il pennello di setole appuntite sulla tela . Si sentiva un magico direttore d'orchestra, sublime accordatore di musiche d'anima.
Dipingeva in preda forse alla sua stessa pazzia, in preda agli spasmi del sentire e del non espresso, con l'ansia di intravedere quale musica prendesse forma, contorno, intensita'. Quasi in estasi, in uno stato di trance lucida e nervosa, dominata solo dalle mescolanze di quella inconsistenza spalmata sul legno. La percezione mistica di essere creatore, supremazia del gesto onnipotente del creativo, libero da vincoli, tare e preconcetti. La fantastica alchimia della sfumatura, dellla cromia piu' contrastante, dell'effetto traslucido su mari che si fondono in oceani, su Lune metalliche che fanno l'amore con Soli disperatamente accesi. In un piccolo rettangolo di stoffa, tutte le tensioni generatrici dell'Universo intero. Ore intere a ritoccare il nulla, a concepire e partorire chiazze, ombre, fulmini di luce violacea su immense vallate di verde. Ireneo non sa quando inizio' quell'ennesimo immane tentativo di lasciare correre l'anima sua libera, Ireneo sa con certezza pero' che quel dipinto e' stato iniziato da sempre, sempre ritoccato, rifinito, ricoperto crudelmente di un unico colore a stingere il pensiero. La tela che da anni sta martoriando e' la stessa che gli fu regalata da bambino, quando solcava mari lontani dalla pittura, quando sognava di essere un cavaliere della tavola rotonda, e di uccidere draghi. L'immagine che conserva nitida di se' stesso fanciullo, forse l'unica, lo vede cavalcare un cuscino del lettone dei genitori, bianco Pegaso alato , con in mano Excalibur, un simulacro di spada ricavata da un rametto di faggio e levigato dal nonno materno. Quell'arma spaventosa uccideva draghi, grifoni e streghe.... una magica arma che conservava gelosamente tra mille inutili giocattoli tutti uguali a se' stessi. Poi, un giorno come tanti , o forse un Natale , un misterioso pacchetto dalle forme strane apparve ai piedi del suo letto. Svegliarsi e precipitarsi sulla preda fu un tutt'uno. Entusiasmo ed incoscienza dell'innocenza, capacita' di sentire ed essere senza inibizioni, paure. Un carnevale di carte strappate rivelo' il contenuto, il segreto. Ireneo vi trovo' una serie di misteriosi oggetti: tanti piccoli tubetti colorati, un pennello dal manico colore della terra di Siena, una piccola tavolozza di plastica ed un telaio di compensato, sul quale era fissato un bianco ed inerte drappo di tela. Istinto? Curiosita'? Forse solo l'irrefrenabile voglia di capire e scoprire.... Stappare tutti i tubetti, stupefacente magia di colori. Brillanti. Scopri' il Blu della notte , il Giallo che brillava piu' del sole di mezzogiorno, quando non si poteva uscire perche' faceva troppo caldo; si sporco' il pigiama con il Rosso dei tulipani, tutto intorno un vorticoso danzare di immagini e suoni lo avvolgeva , lo trascinava senza forzature ne' ansie, solo istintiva serenita'. Pochi minuti e l'immacolato oceano bianco della tela portava indelebili i segni della scoperta: chiazze e baffi di tempera senza significato apparente, nei quali pero' poteva riconoscere il suo castello, il suo Pegaso, la spada, i draghi uccisi e le damigelle salvate da tiranni dai nomi innominabili. Ireneo ancora oggi sta imbrattando, sublimando lo stesso dipinto. Capitava sempre cosi', dopo ogni quadro terminato...la voglia di ritentare , di chiarire a se' stesso cosa stesse tramando quel lontano giorno di trentasette anni prima, quando il fiore del suo animo si dischiuse per la prima volta di fronte al colore. Un quadro, un tentativo, un altro quadro...e cosi' via. Incessantemente, senza motivo apparente. Lo scoprirsi incapace di mettere a fuoco quell'idea primordiale, la prima vera ispirazione, dava all'uomo una sensazione di incapacita' imponente, la dolorosa consapevolezza di non avere piu' la forza di vedere in quei segni sovrapposti anno dopo anno le immagini di quei castelli merlati, di quelle colline del suo mondo incantato. Oggi Ireneo sente una energia misteriosa scaturire da quella spessa coltre di colore, sente la propria pazzia assorbirlo in un gorgo che va dritto verso il centro di quell'oceano variopinto, dritto verso il fondo, bianco. Nessuna resistenza, solo la frenesia di dipingere senza guardare, senza giudicare...vergognandosi di segni insensati, stupefacendosi di gesti eseguiti in uno stato di super-io. Ireneo si ritrova cosi' spettatore stupito di se' stesso, incuriosito come ad una prima teatrale, incerto del finale e sgomento dello svolgersi della fitta trama. Un cielo terso invade lo spazio superiore di quel microcosmo. Solo poche nuvole, cirri e cumuli velati da un grigio ghiaccio che sono presagio e speranza invadono quell'azzurro immacolato: lo spesso ciuffo di setole del pennello avanza faticosamente su strati e strati di colore antico, che si stempera continuamente e tenta di risalire alla vista nonostante le sferzate decise di colore che Ireneo distende con gesti automatici. La disperata lotta del naufrago che tenta di riguadagnare la superficie, avviluppato dall'onda. E' il penoso annaspare dei ricordi, lo sforzo dell'animo nell' aggrapparsi a cio' che si e' stati per non soccombere al presente, che avanza con le sue lievi nuvole di incertezze, solenne ed inarrestabile.E' l'agonia dei condannati. Ireneo sa' cio' che e' stato, cio' che sara', anche se non ha la cognizione esatta di cio' che e'. Per questo non arretra di fronte all'ultimo grido di quell'ultima macchia di rosso che volge al marrone l'azzurro del cielo.... per questo affonda decisi colpi coprenti di pennello per lasciare all'immenso lo spazio che merita, per vocazione e per legge naturale. Un Oceano di azzurro.... L'occhio riposa, si pasce di sensazioni consuete consumate nei mesi di maggio e giugno, quando dopo affannose corse ad inseguire draghi, si lasciava cadere nell'erba, gli occhi in su, per perdersi e giocare con le nuvole, che disegnavano per lui mondi fantastici e lontanissimi. Ireneo stempera con l'acqua quell'azzurro intenso, il suo cielo ora e' piu' stinto, piu' ceruleo. Non nuvole, semplicemente tinte piu' opalescenti , che sbiancano la' dove l'orizzonte si mescolera' piu' tardi con la terra. Come il suo cielo. Mai piu' quell'azzurro intenso, la dolorosa certezza e ciclicita' delle stagioni hanno a poco a poco eroso la tela della sua esistenza, trasfigurando colori e forme con tinte surreali, tinte di pazzie mai espresse. Un sole appena abbozzato sparisce nascosto da una linea verticale che sara' forse contorno di una casa, sul lato destro. Gia'...il sole ...meglio solo saperne l'esistenza. Ireneo non lo ha mai visto...lo ha sfiorato, sentito sulla pelle, immaginato e quasi vissuto. Ma mai visto. Nel suo dipingere sa' che potra' disegnarne le ombre, i riflessi, i riverberi ma non potrebbe mai dipingerne l'inconfutabile presenza. Come un cancro, innominabile per scaramanzia, quasi che pronunciarne il nome sia magia catalizzatrice foriera di condanna....cosi' e' il sole per Ireneo. Tra poco fissera' le tracce del suo transitare sui muri della casa, sul prato, sul fiume che gia' sente scorrere, ma non osera' renderlo reale, tangibile. Cio' che non si e' mai visto e' presente solo nel segreto dei nostri archetipi. Un lontano vezzo nero come la notte all'orizzonte prende la forma di una rondine, solitaria e fuori dallo stormo chissa' da quanti secoli. Ed il suo vagolare lo si legge nell'immensita' racchiusa in quel pezzetto di cielo, deserto di paci mai raccontate. Oblio, quello che Ireneo non sa immaginare e' se quella rondine stia cercando il suo stormo, o ne stia fuggendo disperatamente...... Non riesce a leggerne il volare, come sapevano fare gli 'auguri dei suoi libri di storia, ai tempi della scuola e delle merende nelle cartelle. Semplicemente, la lascia li' dov'e'.... forse piu' tardi, su qualche albero o sotto qualche tetto, dipingera' un nido, quasi a rassicurare quell'essere circa la possibilita' di trovare un porto dove approdare, dopo tanto navigare tra i flutti di quell'oceano. Una macchia spessa di verde aggrovigliata sulla tavolozza lo attrae , lo avvicina... Il pennello si tuffa senza che Ireneo se ne renda conto, ed un orizzonte sconfinato assume i toni sereni ed armoniosi della primavera . Un orizzonte rettilineo, regolare, continuo. Un immobile ondeggiare di sottili fili d'erba invisibili nei quali tuffarsi, rotolarsi per bere il ricordo della giovinezza, di amori sensuali e desideri inconfessati, trasformatisi in rimpianto. Un vento scuote quei figli della terra, li fa' palpitare, chinare, ergere, una danza perenne ad osannare la profondita' prospettica della natura. E dipingere il vento Ireneo lo sa fare... Lo ha sempre dipinto, in tutti i suoi quadri, mostrandolo orgoglioso a tutti coloro i quali si sono soffermati ad osservare le sue creature, spiegandone le traiettorie, i mulinelli, le andate ed i ritorni. Sicuramente non lo ha mai spiegato abbastanza bene, poiche' nessuno di coloro lo ha mai veduto, toccato. Semplicemente uno sguardo disattento, malcelando lo sgomento ed il sospetto di avere di fronte un pazzo. Che poi, in fondo, tutti i pittori sono un poco pazzi..... Ireneo oggi dipinge un vento piu' intenso, piu' palpabile... raffiche rabbiose in alta quota, dove solo le rondini osano avventurarsi per giocarci a lungo. Ne incide il passaggio sulla tela, con bagliori violacei irreali, testimoni sordi di un mondo parallelo in cui lui vive, lo stesso mondo dal quale attinge il colore,la sfumatura, l'intensita' del contrasto. E quel paesaggio che occupa per ora solo la parte superiore di quel rettangolo martoriato dai secoli ora e' tormentato dal suo vento, come un grido in una notte di silenzio. Solo la rondine, immota, ne resta immune. Ora forse si spiega l'assenza di altri uccelli da quel cielo. Troppo violento il permanere, troppo indicibile il doloroso annaspare in quei flutti impalpabili, troppo pericoloso il librarsi. Quella rondine ha scelto di guadagnare la quota, a qualsiasi prezzo, derisa dal cacciatore e dallo sparviero, incompresa dal suo stesso stormo antico con cui seguiva le traiettorie spaziali dell'eterno partire per poi ritornare. Forse quella creatura libera ha scelto il non ritorno, e' partita per un viaggio eterno, duro, difficile. Le sue ali sono piccole, ma capaci di forza sovrumana; i suoi occhi vedono lontano, con essi di lassu' riesce a volgere il capo e rimirare il tracciato percorso temendo per l'esito del prossimo avanzare ma il suo cuore e' abbastanza forte per non desistere, per continuare solitaria e regale il suo incedere. Null'altro in quel cielo.... Ora le nuvole sono state stirate fino all'infinito dal pennello, sono svanite tingendo di luce bianca il cielo, la luce di un sole mai visto che brilla in quel deserto ventoso striato da graffi che sanguinano bagliori violacei. Sotto la linea evanescente dell'orizzonte, ancora il caos dei secoli passati a stuprare quella tela. Tracce di incubi, fantasie erotiche,sogni di beatitudine, concetti, pazzie ed idee. Una unica, immensa orgia di colori avvinghiati , altisonanti e stridenti, ed in quella realta' vede la contraddizione dell'armonia. Ireneo pulisce il pennello nell'acqua regia, lo strofina sul pantalone per asciugarlo, soffia energicamente sulle setole e lo accarezza per ravvivarlo e pettinarlo. Indugia sul da farsi, forse il primo attimo di sosta razionale , per decidere non tanto cosa disegnare , ma da dove ricominciare. Per un attimo, gioca ad immaginarsi le critiche di sempre, le opinioni di quei pochi che hanno tentato di leggere i suoi dipinti.... Sempre una chiave di lettura logica, sempre un tentativo di razionalizzare, capire, interpretare... Gia' , interpretare. Cercare termini per tradurre un linguaggio che Ireneo non ha mai tentato di catturare, che ha sempre lasciato libero di esprimersi traducendone i suoni in colore. La paradossale necessita' di rendere tangibile cio' che puo' solo essere sfiorato, intravisto come una illuminazione, impresso nell'anima con un idioma che e' solo emozione. La tranquilla consapevolezza di non potere essere capito, e la volonta' ferrea di volere cessare di spiegare. L'occhio si posa su un tubetto contorto, deforme. Istintivamente lo apre, senza volere neppure sapere quale cromia vi sia contenuta, sa gia' con certezza che con quel colore costruira' la sua casa. Sente che da quella deformita' trarra' il suo rifugio, il suo focolare, l'antro nel quale riposare. Una pasta marrone intenso fuoriesce da quell'embrione, una essenza di legno antico, spirito di secolari quercie, boschi di alberi altissimi, forti e fratelli degli elementi. Poche nervose linee per tracciare i contorni di una piccola casetta, la cui prospettiva ne lascia intuire la forma circolare. Un castello minuscolo senza spigoli, senza angoli per impedire alla polvere del vissuto di depositarsi, con un tetto appuntito per penetrare i segreti del cielo. Una porta , probabilmente chiusa da sempre, che Ireneo sfuma di giallo, verde e rosso, colori vivaci per ricordare che all'interno esiste serenita', allegria, pace. All'esterno nessuna serratura, nessuna spranga perche' quella porta la si potrebbe aprire con un soffio, semplicemente volendolo. Sul lato interno, non visibile se non agli occhi di Ireneo, due ganci, destinati a supportare una indistruttibile trave posata li' accanto da millenni, mai usata. E' semplicemente posata li'... Ireneo sa che l'avrebbe usata solo il giorno in cui quella casa fosse stata condivisa, per renderla inaccessibile alle paure, alle ansie, alle insicurezze. Una sola finestra, enorme, per osservare il mondo che ruota attorno alla geometria perfetta, al circolare disegno dello spazio infinito. Quella casa e' centro, vertice di un tutto che rotola su se' stesso incessantemente , ora accelerando ora rallentando fino a sembrare fermo. Fuori da quella casa ancora il caos... Ireneo ha costruito quella porzione di spazio senza avergli riservato neppure un pezzetto di prato, e' aggredita dalla miscellanea del suo passato, che e' li', presente e si riaffaccia beffardo. Se ne fosse capace, traccerebbe il contorno di un gatto, magari arrotolato su se' stesso, ai piedi della porta. Lo vorrebbe persiano, grigio e nero. Piccolissimo, tranquillo ....intento solo a sonnecchiare e guardare ogni tanto verso il cielo per regalare a quella rondine la certezza dell'esistenza. Ma , maledizione, i gatti non li ha mai potuti dipingere, perche' non ne ha mai avuto uno al suo fianco. Ne ha visti passare, e tanti. Sempre veloci, di corsa, disattenti. L'unica cosa che potrebbe impressionare sulla tela sarebbe una macchia rapida, fuggevole come un lampo. Allora decide di ripulire il pennello e sedersi a terra, fumando una sigaretta, per rileggere quelle pagine che oggi ha scritto. Si addormentera' cosi', con il mozzicone tra le dita, sdraiato sui propri passi, esausto. Dormira' un sonno di diverse ore, tormentato solo dall'oscurita' piu' totale, dal silenzio piu' assoluto che mente umana possa immaginare. Un flebile raggio di sole arriva la mattina dopo a tormentare le palpebre di Ireneo, che istintivamente copre con l'avanbraccio, anche se la certezza di avere rotto il silenzio lo riporta lentamente nel presente. Il dipinto e' ancora li di fronte a lui, crocifisso sul cavalletto, a ricordargli tracce del suo passato e mostrargli alcune certezze del suo temporaneo esistere. Resta cosi', con negli occhi ancora le lacrime di un sogno che come sempre non ricorda,le ossa dolenti per il contatto con il duro giaciglio del pavimento, i capelli spettinati, arruffati... resta immobile per diversi minuti, forse venti, a rileggere nella sua memoria le tante notti uguali passate a dimenticare i sogni, dimenticare se' stesso. Un passerotto si posa sul davanzale della grande finestra, lo osserva stranito. Forse ha intravisto le ali di Ireneo, immobili ed annichilite dall'eta', forse si chiede cosa stia aspettando quello strano uccello senza piume a balzare nel vuoto per raggiungere il cielo. L'uomo gira il capo, lo osserva a sua volta, si rende conto che gli sta sorridendo, sente che vorrebbe potergli parlare. Un impercettibile movimento del suo corpo vede il passerotto riprendere prudentemente il cielo, perche' cio' che non si comprende, si teme. E come sempre , cio' che si teme, si evita. Quante volte Ireneo per timore non si e' soffermato ad esplorare, quante volte e' ritornato sui suoi passi, dimenticato sogni, solo per non volersi ancora ritrovare ferito al suolo. La tempera con cui aveva costruito la sua casa, la LORO casa, oramai si e' rappresa sulla tavolozza posata accanto a lui.... Come sempre il tempo non ha concesso all'uomo di terminare la sua opera, dovra' forse cambiare colore, riadattare tutto, oppure mescolare colori contrastanti, violentare il suo sguardo con una altisonanza cromatica per evitare di lasciare incompiuto cio' che stavolta sente di dovere assolutamente terminare. Con la memoria rovista tutti gli angoli del suo piccolo appartamento, cerca di ritrovare un tubetto che contenga le stesse impalpabili pietre usate la sera prima. Niente. Anche peche' Ireneo la memoria non la sa piu' usare. L'ha rinnegata, anni fa, per non dovere ogni volta affrontare il crudo presente raffrontandolo con il passato, con cio' che avrebbe potuto essere. Quel mosaico di suoni che sta ora di fronte a lui, contiene sia il passato che il futuro , i desideri e le delusioni, i rimpianti ed i rimorsi. E' conscio che stavolta dovra' uno ad uno ricoprirli con uno spesso strato disincantato, sa che domani chiunque cerchera' di tradurre per l'ennesima volta la sua solitaria opera trovera' parole misteriose, senza memoria, senza storia. Intraducibile, tutto qui. O forse , come sempre, riusciranno a darne la loro versione, come sempre... Indovineranno in quel cielo significati di pazzia, marchieranno con il loro concepire il mondo quel pezzetto d'anima con simboli consueti, soliti, comuni. Cosi' sia, come e' sempre stato. Per la prima volta la cosa non lo preoccupa, quasi gli procura piacere sapere che non sara' capito: mai spieghera', mai piu' tentera' di farsi intravedere e cosi' facendo risparmiera' alla sua fragilita' il tormento di sentirsi fuori. Fuori dal quotidiano, fuori dalle abitudini e dalle regole ipocrite del sembrare. Oggi finira' il suo lavoro, velocemente, automaticamente, senza porsi il problema del risultato. Cio' che sara' , sara'. Si alza dunque dal pavimento, beve una sorsata di acqua dal rubinetto della piccola cucina, lava il volto ed il corpo meticolosamente, con cura.... Passa le mani bagnate tra i capelli, si pettina, addirittura si profuma , si rade, indossa un vestito stirato e si appresta a riprendere il rituale del rinascere, di fronte alla sua tela, al suo passato. Lui ed il suo Universo.Nessun altro.Accende una sigaretta, riarma la tavolozza ed il pennello, da' un ultimo sguardo ai residui del suo passato che hanno tentato inutilmente di aggredire quel castello circolare. Li guarda per l'ultima volta, perche' tra poco li cancellera' piangendo, seppellendoli sotto un prato verde, imbrigliandoli e legandoli con le radici contorte e nodose di alberi possenti, annegandoli sotto le acque vitali di un torrente che si tuffera' proprio al centro della sua casa. Un fondo inarrestabile di verde carico si fa ora strada sulla tela, Ireneo rinforza piu' volte ogni pennellata, appoggia il colore senza quasi stenderlo, per essere certo di non vedere riaffiorare nulla. Mentre ferisce il tessuto con il pennello piange, lacrime fitte come pioggia, che scivolano sulle gote ed inciampando qua e là, raggiungono il pavimento. Nessun singhiozzo, non un sussulto. Solo un pianto sordo, violento, incessante. Alcune stille finiscono sulla tavolozza, stemperano la solidita' dei colori piu' essiccati, si tingono a loro volta e rotolando a terra muoiono in lampi silenziosi di colore. In quel mare di verde ora trovano spazio alberi sottili e slanciati, alberi che non conosce ma che sente necessari... Pochi, sparsi qua e la': alberi con le chiome argentee e nere, che paiono correre su quel prato selvatico come il rincorrersi che fanno i bambii quando sentono di volare sulle ali della liberta'. Un fiume nasce da lontano. Sembra avere le sorgenti la' nel cielo, il blu intenso delle acque si miscela con l'azzurro pallido del cielo, l'immensita' stessa vi e' contenuta, le schiume bianche sembrano fatte di nuvola, il flusso si frantuma contro sassi e ciottoli grigi, esita incerto un secondo, poi riprende, incessante , il cammino verso il mare. Quel fiume pero' cerca un mare diverso, quel fiume da sempre rotola su se' stesso, tuffandosi nella casa ed alimentandosi dal cielo. Ireneo lo sa, percio' concede a quel mare di acqua di riversarsi in quella fortezza passando dall'enorme finestra, e li' scomparire, riposare. Ora il lavoro e' compiuto. Ireneo sente pero' di dovere ancora tracciare pochi segni, ma non sa capire..... non capisce....esita. Un lampo, una presa di coscienza subitanea, fragorosa: Intinge il pennello nell'acqua regia, lo ripulisce senza mai staccare gli occhi dalla tela, indagando. Con l'argento vivo di un tubetto mai usato dipinge finalmente sulla porta della casa un chiavistello, serrato. Blocca per sempre l'entrata di essa perche' all'interno vi e' nato qualcosa, qualcosa che vuole lasciare intravedere dalla finestra violentata dolcemente dai flutti. Due stelle accese nella notte brillano all'interno, adesso. Con lo stesso argenteo riflesso traccia i contorni di un nido sotto la grondaia, li' le rondine potra' finalmente riposare, quando lo vorra'. Ireneo piange di felicita', ora. Una felicita' dolorosa, consapevole, agguerrita. Raccoglie a due mani tavolozza, tubetti, vasi, pennelli e li depone riconoscente in un vecchio baule dimenticato all'angolo dello studiolo,chiude il grosso lucchetto, sapendo che non lo aprira' mai piu'. Getta la chiave dalla finestra, verso la citta', passando per il cielo, che ora e' maestosamente sereno, lanciando un grido liberatorio e disperato. Il bambino che uccideva draghi ora e' libero, ora uscira' per correre sui prati e salvare damigelle da tiranni dai nomi innominabili. Libera il dipinto dal cavalletto, lo appende alla parete piu' illuminata ed assapora quel silenzio che sente dentro di se', un silenzio fatto di musiche dolci e scorrere di acque, canti di uccelli e frusciare di foglie al vento della primavera. Non so che fine abbia fatto oggi Ireneo. So che esiste ancora, che lavora, che prosegue solitario nel suo cammino. So anche che non dipinge piu'. Mi piace immaginarlo seduto sulla cassapanca del suo studiolo ad immergersi in quel dipinto che una volta ho veduto, piangendo senza capirlo.