Una giacca pulita, la solita. Gli occhiali importanti sulla mia faccia anonima come quella di tanti: solita barba, solito naso, solite orecchie sempre attente a rovistare tra le possibilita'. In tasca poco o niente, un fazzoletto ed un portafoglio distratto noncurante del contenuto...le lire arrotolate altrove in un altro andito del mio vestire.
Nessuna voglia nuova, nessun istinto arcaico a darmi lo slancio, la vitalita', la forza. Sembra che improvvisamente, in un giorno ignoto e dimenticato, qualcosa si sia fermato senza causa apparente solo perche' la gravita' ha piu' potere dell'inerzia, solo perche' ad un certo punto il remo si spezza od il tuo braccio si arrende. Solo. Abituato a me stesso fino alla noia, disilluso ed inutile mentre le metropolitane di tutto il mondo sfilano veloci cariche di una unica, pulsante folla che non ha piu' tempo di aspettare, scendo i gradini di casa meditabondo sul vuoto come a sondare con un braccio la profondita' di un abisso, affacciato sul ciglio. Per andare in nessun dove. Mille domande mi accarezzano e codardo schivo, per travestire di speranza una sensazione di incombenza opprimente, pesante come l'aria calda di una giornata estiva umida e densa circondato dal silenzio ed infastidito dai mosconi della campagna che ben conosco, teatro della mia giovinezza e di infinite passeggiate spese a calciar ciottoli o inseguir lucertole. Mi sono scoperto inadeguato. Inadeguato e debole, troppo debole per sovvertire lo status quo del quotidiano. Quasi vinto dal pregiudizio del non potercela piu' fare, sento la gola stringersi per frenare un singhiozzo, la sento molte volte ogni giorno quando risalgo le scale per rientrare nel mio guscio disadorno reso soffice dalla polvere spessa di tutti i miei giorni. La sento quando tendo una mano, certo di trovare un ramo che scopro essersi spezzato un attimo prima ed afferro il vuoto, la sento quando sto per dire cose che so e tu scegli di raccontarmi la tua ultima vittoria, la sento quando preparo una tavola con due piatti e poi consumo solo la cena fredda. Vorrei cambiare le cose, vorrei che la sincerita' di questo mio bisogno divenisse trasparente come l'acqua di un ruscello, che si palesasse agli occhi di chi oramai veleggia lontano senza essersi accorto di essere partito, stordito dalle luci di una citta' dalla quale forse scappo per non permetterle di fuggire. Scelta dolorosa e sofferta quella di accettare gli eventi. Ardua davvero per uno spirito guerriero e un tempo libero capace di resistere nonostante tutto, abituato al duro lavoro ed alla gioia di un panino in due, felice di un piatto povero di patate arrostite divorato con un sorriso, in fretta per fare l'amore. E' come morire. Sento di non farcela, sento di essere scivolato inesorabilmente nell'angolo delle cose usate alle quali pero' qualcuno si e' affezionato ed ogni tanto riprende tra le mani per la gioia di averle avute, desiderate, amate. L'affetto per la propria memoria, quella sensazione dolce che ti concedi quando, terminate tutte le faccende solite ed usate, vinte tutte le piccole scaramucce di una guerra gia' persa, scegli che e' l'ora di distrarsi un attimo. Inadeguato. Certe volte ho paura. Una paura sorda e cieca di un nemico che non conosco o che identifico in chiunque, un essere dai mille volti che sorride della mia ingenuita' mentre si nutre della mia vita, mentre succhia avido la tua ingenuita' entusiasta e veloce. Mi sto trasformando, forse sono gia' cambiato tanto, forse non sono piu' io, forse non sono. Ho persino scoperto la durezza del rimpianto, io che un tempo non conoscevo neppure il rimorso... ogni giorno osservo cio' che avviene con la coscienza di essere sempre piu' lontano, come posare nel fiume la tua barchetta migliore e vedersela portare via da una corrente che credi improvvisa ma c'e' sempre stata e vano il rincorrerla, giacche' non sai nuotare. Le mie gambe non mi sopportano piu', stanche e ferite da una vita ipocrita che ti toglie cio' che non ti ha mai concesso, imbecille ad accanirsi ma astuta nel farlo vigliaccamente. Goffo procedo calpestando pesante pochi dolorosi metri per dare serenita' a chi si compiace del mio progresso, finalmente in pace col mondo per il sollievo rinnovato di potersi illudere che tutto va' a gonfie vele. Ecco, si'... sto migliorando. Ora la giornata scorre via con un pensiero in meno, a cuor leggero e sorridendo scorrazzando per le strade. Mi piacerebbe saper gridare aiuto in un modo convincente, tangibile. Ho tentato. Santo cielo, ho tentato davvero! Ho un grido dentro che non riesco a sedare, la sabbia scivola tra le dita e tanto piu' disperatamente stringo i pugni, tanto piu' velocemente questa scorre lontano, perdendosi chissa' dove. Certe volte torno con la memoria a mio padre, ostinatamente deciso a conservare di lui una immagine che ahime' oggi diventa ricordo mentre un male lo consuma piano. Le sue mani hanno cominciato a tremare, le stesse mani forti e callose che appena un attimo fa' sembravano aggredire la vita e che oggi fanno ondeggiare l'acqua in un bicchiere. Guardo lui e scopro che qualcosa di diverso dal consueto ci accomuna, che pur divisi da piu' di trent'anni di spazio stiamo condividendo la stessa silenziosa sorte. Quanta tenerezza. Mi odio per il non saper piu' esprimere, per l'incapacita' nuova di non dire, di non osare. Oggi, adesso, proprio ora che avrei davvero bisogno della sua forza, dannata vita, lui non puo'. Avverto una profonda pulsione di rivolta verso una ingiustizia sottile che governa le cose, certe volte sento vacillare tutte le mie acquisite certezze e la voglia di farmi dimenticare sale sorda per arrestarsi proprio un attimo prima di divenire azione. Se di nascosto mi volto indietro, la nostalgia delle mille speranze riga questo volto inespressivo e sento il bisogno di una mano da stringere per calmierare questa sofferenza, quando rovisto nei cassetti che lei non apre piu' ritrovo fotografie e pagine di promesse, di volonta', di certezze.Quello che solo ora scorgo, e' che sono scritte quasi tutte da me. Quando la mattina mi sveglio, ho fame d'amore. Ho memoria di passione, di desiderio, di risate e di pianti in nome di un futuro che guardavamo lividi ma vivi dentro, straziati dalle lotte ma uniti contro il quotidiano, poveri ma esaltati dal possedere noi. Noi, soltanto noi, comunque. Ci credevo: quando tutto crollava, trovavo una insperata forza che ribolliva tra il fango delle difficolta' ed esplodeva innescata da un entusiasmo che era la voglia inarrestabile di farcela insieme. Lei lottava con me, piu' di me, spesso sola ma ferma ed incrollabile nella sua dignita'. Era innamorata. Adesso passo le ore a contare i minuti, cercando di indovinare cosa sara' domattina perche' dopodomani e' gia' talmente incerto da non avere la forza di sopportare l'angoscia del dubbio. Lei, inarrestabile, prosegue un cammino diritto e lucido, fatto di innamorati a glorificarne il cammino con parole piu' belle delle mie, con promesse che io non so fare, con allegrie che non trovo. Inadeguato. Non e' vero che non vedo il mio futuro, e' che temo di conoscerlo e forse non ho il coraggio di guardarlo.... so che come ora piango domani piangero', cercando di non fare sentire il mio grido per non intristire l'altrui giornata che grazie al cielo e' piena di promesse, con soli giallo intenso intenti a sorgere capaci di tramontare senza neppure voltarsi indietro.