Il tuffo

Nessuna paura: semplicemente riempire i polmoni d'aria e saltare. Il vuoto e' qui, a portata di mano, oltre questa bocca metallica senza denti che presto, uno ad uno, ci vomitera' sopra le irrilevanti quotidianita' di questo brulichio umano. Aggancio il mio moschettone al tubo di guida verificandolo con un preciso e breve strattone, poi lentamente, passi piu' brevi dell'impronta, mi avvicino all'apertura come inchiostro strappato dall'aerografo.

Luce verde... il vuoto e' proprio di fronte a me, azzurro come solo il nulla puo' non essere, cosi' blasfemamente pieno di una qualche divinita' che certamente non conosco ma ho intuito quando da terra volgevo in su il naso. Avrei dovuto anche guardare, possibilmente vedere. Luce azzurra... ancora 10 secondi e si salta. Vorrei bucare la nuvola che vedo quattro o cinquecento metri sotto di me, ma non riesco a definirne la posizione su un piano idealmente orizzontale, tanto le mie percezioni sono annichilite di fronte alla mancanza di punti di riferimento. Sento di non esistere, sento che questo preciso istante mi vede come una foglia, legata da un cordono ombelicale a questo metallico ramo autunnale in folle corsa verso nulla. Luce rossa... sento un "GO!" netto, e salto. Salto a bocca aperta nel lago di adrenalina che sento ribollire dentro, salto come salto' l'ambizioso fallito dal dirupo per baciare la luna, perdutamente innamorato del mistero pallido senza uno sguardo da dimenticare. Lo stupore e' indescrivibile: il mondo e' per la prima volta davvero sotto di me, rondine con l'ombrello chiuso decisa a scommettere la propria vita puntando sullo strappo di un anello di plastica nera. Vedo geometrie di frumento a perdita d'occhio e fiumi serpeggiare tra queste, vedo paesi fare capolino tra nuvole, sembrano villaggi abbandonati dagli angeli della pioggia. Mentre come un delfino ubriaco plano e scivole tra queste acque rarefatte, cerco di scoprire il sole: lo osservo attraverso gli occhiali dalle lenti brunite comunque d'un giallo intenso, mentre una scheggia bianca a forma di falce gira vorticosamente su esso: un abbraccio mortale che si consuma a milioni di gradi durante lo scorrere di strani eoni che non conteremo. I miei compagni sono lontani, oramai tutti mi hanno superato. Presumo sia il gioco di qualche strana corrente ascensionale, oppure sto semplicemente cadendo con traiettoria trasversale; fatto sta che sono lontani, li vedo tenersi per mano in formazione a stella, sei anime talmente rapite da questa euforia da dimenticarsi di me. Cerco di accelerare la caduta per raggiungerli portando le braccia lungo il tronco, il capo rivolto leggermente verso quello che mi pare sia il "basso", ma non succede nulla. Mi rendo conto di essere immobile in questa tranquillita' nella quale ribolle il mio sangue entusiasta ed eccitato come un bimbo che gioca con il vento dolcemente accudito da un aquilone. Slaccio l'orologio: ho necessita' di fare una verifica... Cade. Una goccia di sudore muore consumata dal vento sulla mia fronte mentre cerco di capire cosa stia succedendo, mi scopro qui, a galleggiare come una boa quasi a segnalare a dio che piu' sotto, tra la folla degli uomini, non si tocca. L'uomo vive la sorpresa, sgomento raccoglie archetipi e superstizioni, compone una accozzaglia di ipotesi fino a quando deliberatamente qualcosa in lui decide di stare nelle cose, di abitarle. Vivro' il cielo, il paracadute e' aggrappato pauroso alla mia schiena quindi quando finira' strappero' la funicella per planare ancora tra le cose che conosco, che presumo di avere capito per consapevolezza. Vorrei liberarmi del casco eppure il mio senso civico mi vieta questo supremo gesto di liberta' e disprezzo del pericolo: la' sotto qualcuno potrebbe ferirsi poiche' non essendo quest'ultimo vivo, certamente non potrebbe galleggiare per simpatia in questa forza vitale che mi sostiene. Sinceramente, arrivo ad invidiare gli uccelli, le nuvole...persino una farfalla che immagino sospesa, pur se infinitamente piu' vicino al mondo, tra terra e cielo. Mi piace fantasticarla ad osservare le formiche , i trifogli...quei pezzi del suo mondo che puo' permettersi, seppure per un solo giorno, di vedere cosi' da lontano. Sto bene, vivo e respiro al ritmo delle cose, anzi sono il ritmo, sono il respiro incessante di tutto cio' che contrae ed espande, sono sulla sinusoide dell'universo, sono come il rebbo di un diapason in vibrazione con il cosmo. Quando milioni di chilometri piu' giu' tentarono di raccogliere il mio corpo, qualcuno si interrogo' continuando assolutamente a giustificare la validita' di quei paracadute, adducendo alla mia inesperienza o ad un improvviso mancamento il fatto tragico e doloroso che la cordicella, a detta di chi c'era, non venne mai tirata.